La Stebor di Malo, piccolo paese nell’alto Vicentino, taglia e lavora il pellame per conto terzi. Grazie ad un software che misura la produttività degli operai, ha potuto adottare metodi e tempi di lavoro da multinazionale e, con 20 dipendenti, ora lavora per grandi marchi come Chanel, Bottega Veneta e Maserati.
La Italian Cobblers è una rete d’imprese che, partendo da Verona e Venezia, raccoglie società venete e lombarde; fa calzature su misura, un tempo prendendo le misure dal piede del cliente, ora scannerizzando la sagoma e lavorando direttamente su un modello computerizzato, che arriva via web da tutto il mondo.
All’estero – giapponesi e americani in primis – ne sono entusiasti e ora il problema è star dietro alla richiesta di produzione.
Sono solo due esempi, ma significativi, di come le piccole imprese territoriali, in particolare quelle artigiane, stiano cambiando passo e si stiano avviando convinte verso il manifatturiero digitale. Ovvero verso quel connubio tra manifattura artigianale e competenze digitali che fa crescere l’azienda rendendola più competitiva. «Un obbligo – spiega l’assessore all’Economia e allo sviluppo della Regione Veneto Isi Coppola – da cui ormai non ci si può esimere se si vuole competere sul mercato». Il Veneto è la seconda regione in Italia, dopo la Lombardia, per numero di imprese artigiane (124mila, il 30% delle imprese totali in regione), «piccole aziende che durante la crisi hanno contribuito alla crescita dell’export più delle medie», fa notare Paolo Feltrin, professore di Scienza dell’amministrazione all’università di Trieste.
Sono, potenzialmente, il motore in grado di portare la quota regionale dell’export, ora ferma al 33%, ad un plausibile 50% nel 2020. «Oggi c’è una domanda di made in Italy curiosa, che non cerca la quantità ma la qualità, tutto un mondo che vuole i nostri prodotti di alto artigianato, manufatti creativi e di design», aggiunge Stefano Micelli, docente di International management all’università di Venezia e direttore scientifico della Fondazione Nord Est. Una modernizzazione delle piccole e piccolissime imprese è dunque possibile e passa attraverso strategie come il digitale, l’internazionalizzazione, la formazione.
Su queste e altre parole chiave si snoda il “Manifesto per il saper fare del futuro”, ovvero il primo documento sull’artiganato 2.0 che sia stato stilato in Italia a partire da un progetto che coinvolge l’ente Regione, le università e le associazioni di categoria dell’artigianato. «L’artigianato veneto – recita il documento -, pur salvaguardando la propria fisionomia maturata nel tempo, deve confrontarsi oggi con tutti gli aspetti che i nuovi contesti richiedono: innovazione tecnologica, informatizzazione dei processi e dei prodotti, contaminazione delle esperienze, uso del design, strategie di comunicazione, formazione continua, qualità delle produzioni».
Ecco, allora, le linee guida: innovare con strumenti informatico-digitali; contaminare le conoscenze dell’impresa con l’introduzione di figure esterne, dal manager all’architetto al consulente; utilizzare i FabLab, laboratori di competenze; lavorare su una migliore visibilità; pianificare una corretta strategia di internazionalizzazione; guardare ad aggregazioni e reti d’impresa per accrescere la dimensione; tutelare i propri marchi e brevetti; formare e far crescere le competenze interne e il capitale umano; utilizzare gli strumenti finanziari e di credito a disposizione per poter ottenere gli strumenti per investire. «Tre snodi restano fondamentali per cambiare pelle ed entrare nell’era 2.0 – aggiunge Micelli, che ha contribuito alla stesura del Manifesto -: rilanciare la cultura tecnica, il valore di saperi professionali; capire quanto è strategica l’internazionalizzazione e usare tutti gli strumenti necessari per raggiungerla, in primis l’utilizzo del web; innovare a livello tecnologico e far dialogare manifattura e servizi».
Il Manifesto è un punto di partenza, «la base – dice l’assessore Coppola – aperta ad ulteriori contributi, per la ri-scoperta e il ri-lancio della grande esperienza artigianale, di cui il Veneto va orgoglioso, e del manifatturiero come cuore pulsante del valore artigiano e della tradizione del made in Italy».
Ma molte altre cose possono essere messe in cantiere: «Da un dipartimento regionale per l’export – suggerisce Feltrin, anch’egli autore del Manifesto – a un nuovo impulso alle politiche infrastrutturali, su cui il Veneto, rispetto a Lombardia ed Emilia Romagna, resta indietro».
di Katy Mandurino – Il Sole 24 Ore